mercoledì 28 gennaio 2009

Padre Santo ed i combattenti di Luce


Nella prima metà del mese di gennaio, si spense a Catania, dopo vita lunghissima ed operosa, , Monsignor Santo D’Arrigo, da tutti conosciuto come ‘padre Santo’. Aveva 94 anni e da qualche tempo sopportava una grave infermità, che non gli impediva comunque di dedicarsi a quella che fu la sua precipua missione: l’amore per gli ultimi, i diseredati, i bisognosi, nella fascia sociale dei giovini del popolo. Era un figlio egli stesso del popolo, ed a loro si consacrò. La sua scomparsa, rappresenta un monito un presagio ed un segno, interpretabile con duplice valenza, per la comunità catinense, speculum dell’intiera umanità. Se risponde al vero l’affermazione di Madre Teresa di Calcutta, che si è strumento nelle mani di Dio onde compiere il suo volere nell’ajutare i bisognosi, padre Santo fece esattamente questo. Creatore della "Città dei ragazzi", una autentica istituzione ove venivano, e vengono, raccolti i figli di famiglie disagiate e con problemi psicofisici, aiutati ad inserirsi nella vita sociale, nonché dell’Istituto San Giuseppe e dell’ICAM, fu sopra tutto un autentico uomo di Dio, dedito per più di cinquant’anni alla missione evangelizzatrice, nel popoloso e povero quartiere degli Angeli Custodi, ai margini delle vecchie mura caroline di Catania, oltre la via del Plebiscito, rione ingranditosi nel disagio e confinante coll’altro di simile destino, di San Cristoforo e dell’adiacente ‘Tondicello della Plaja’, ove solo e solamente la presenza non tanto della Chiesa quale istituzione, quanto di autentici ed energici uomini di Chiesa, potenti nella società (dell’epoca) perché dotati di fortissima personalità ed ampio carisma, ha potuto costituire il baluardo a cui quelle genti, senza quasi nessun riferimento di quella entità, sovente veduta qual nemica, che si appella ‘Stato’ (similmente il Comune e le altre istituzioni), si sono aggrappate, per molteplici desiderata. In quelle zone, che gli sciocchi e gli inetti mostrano di negligere in vece di maggiormente amare, esprimendosi al riguardo colla ipocrisia tipica de’ farisei evangelici, padre Santo era una istituzione, un uomo di potenza cristiana, in molti modi. Non era il solo. Poco distante dalla ‘sua’ chiesa, quella degli Angeli Custodi, l’altro tempio di piazza Caduti del Mare noverava il rettore (anch’egli scomparso, da qualche anno) padre Pignataro, altro personaggio autorevole della zona. Erano tempi in cui il popolo poteva rivolgersi, come ben è stato scritto nell’articolo funebre, a padre Santo ed ai suoi simili per cercare, ed ottenere, lavoro, per essere concretamente e non con vuote parole, aiutati, per avere lo spazio onde esprimere liberamente e senza svilire la propria dignità, quel che la persona umana può di bello produrre. E’ sempre stato un equilibrio difficile, ma codeste personalità vi son riescite. Altri loro succeduti, poco o nulla.
Il significato etico che si può raccogliere dalla lunghissima strada percorsa da padre Santo nella vita terrena, da studioso agatino (pubblicò noti volumi sulla patrona della città) a benefattore dei più umili, è molteplice, ma dai sensi sostanzialmente unitari. Notiamo in questi tempi di accentuata, strisciante e silente crisi economica ma sovratutto morale, il bisogno della presenza attiva nel territorio di tali figure carismatiche, delle quali purtroppo vi è grande carenza. "Se non vi convertite e diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt.18,3), pure pochi notiamo aventi l’entusiasmo, la semplicità, la passione della conversione pura (qui il termine va oltre, come si intuisce, lo stretto senso dottrinario del cattolicesimo: in tale accezione, si può ‘convertire’ chiunque e da qualunque punto di vista si osservi), ovvero la gentilezza d’animo, il garbo e l’amore: condizioni imprescindibili per un vivere civile. Notasi un vero imbarbarimento dei costumi, che il tramonto terreno dei pochi personaggi di epoche trascorse, rende ancor più triste.
Che fare dunque? Crogiolarsi solamente nel ricordo de’ tempi passati, oppure gironzare nei territori, come Osiride che civilizzò coll’amore e senza uso di armi, senza guerre ma con la pace (narra Plutarco) l’Egitto, come Gesù che trascorreva di contrada in contrada insegnando le beatitudini, cercando gli uomini adatti a seguire il suo messaggio? Non v’ha altra scelta, senza tuttavolta obliare, anzi innalzando a vessilli, le glorie del passato, che servano di sprone verso il futuro. Del resto, non qui si vuole esser naturalmente pessimisti. Esistono realtà, laiche od ecclesiali o religiose in senso lato (poco importa, in senso ecumenico), le quali nel silenzio nella discrezione nella umiltà davvero francescana, svolgono il loro servizio a pro di chi ha bisogno, senza trombe o mostre ipocrite. Sia singolarmente che in collettività. L’esempio che ciascuno, di retto sentire e percorso dall’Etica illuminata della Luce, porge a se medesimo ogni giorno, fugando i fantasmi delle tenebre, non ha e non può avere mànti di religione o di sbandierato anticlericalismo. Vi è da notare che, ad onta di associazionismi cosiddetti laici e senza nulla togliere ad essi, in particolare al Sud e precipuamente nelle città, nei paesi ove sono zone popolate da gente bisognosa, è stata la Chiesa nell’incarnazione di codesti lottatori del Vangelo, a costituire il segnacolo che abbatte il funesto manto delle tenebre. Queste ultime però son sempre pronte a ricoprire vaste plaghe. Utilissima opera sarà impegnarsi in tale asperrimo ma entusiasmante combattimento. Perché la Luce vinca, anche se le tenebre non son capaci di accoglierla.

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