lunedì 25 gennaio 2010

Thesaurus memoria, ovvero l’Archivio Comunale di Catania


















Un viaggio nello scrigno del tempo, in quel luogo di inesauribile vivacità ove nulla cede alla mòrsa corruttrice degli eventi; nelle cui sacre sale l’uomo si scambia segni segreti di amore fraterno: dònde si rinasce a novella luce. E’ tale il senso della conferenza, assaj interessante, svoltasi il 23 u.s. nel bel salone auditorium del tempio di Santa Maria dell’Ajuto (rètto con sapienza da Monsignor Carmelo Smedila), a cura della Unione Cavalleria Cristiana Internazionale, dipanata dalla dottoressa Marcella Minissale, direttrice dell’Archivio Comunale di Catania; intervennero pure il dottor Trovato, del medesimo Archivio, e l’architetto Rosangela Spina, che focalizzò l’attenzione sulla curiosa e per certi aspetti controversa ricostruzione, negli ultimi secoli, di alcuni edifici della architettura civile etnea, molti pregevoli per l’opera dei valenti ideatori.
Il risalto necessario che l’eloquenza dòtta e preziosa di Marcella Minissale dònò nella minuta e dènsa ricostruzione delle vicende dell’Archivio catinense, non possono che essere divulgate all’uditorio intervenuto e diffuse nel vasto etere ed attraverso la stampa, per quell’intento meritorio che da diversi lustri la dirigente si è impegnata ad ottenere dalla cittadinanza còlta e sensibile: ‘adottare’ cioè il complesso e composito materiale archivistico, rendendolo non solo fruibile nel massimo grado a tutti, ma anche affatto comprensibile ed utile, per la ricostruzione della memoria cittadina. Quel filo rosso ideale che lega, attraverso il labile presente, il passato al futuro: il quale subiva un vulnus forse irreparabile nella sua plasticità arcana (anche se in parte sanato dalle riproduzioni di microfilm di documenti inerenti la storia amministrativa della città, operati negli anni Sessanta dal paleografo Cardarella dall’Archivio di Palermo: tessitura che ha permesso di colmare la grave lacuna), durante il terribile incendio che quasi completamente lo distrusse, il 14 dicembre del 1944, con i locali del palazzo municipale. Non si deplorerà mai abbastanza che quell’atto, scaturito da fatti concreti che oggidì la storiografia tende a dimenticare (la cosiddetta rivolta del "non si parte" ed i moti separatisti, la cui compagine peraltro fu vittima e non attrice dell’evento), distrusse documentazioni importantissime, delle quali abbiamo serbato l’inventario del 1934 operato dal solerte archivista dell’epoca, Avila: tra essi le "giuliane" ed il "Libro rosso" delle mastre nobili dal XV al XIX secolo, gli Atti dei Giurati e del civico Senato del medesimo periodo, oltre una svariatissima mòle di carte, concessioni, fideiussioni, gabelle, lettere. Tutto divorarono le fiamme in quell’infausto giorno, mentre il Sindaco Carlo Ardizzoni fuggiva, impotente, dal portone nord del Municipio per non finire nelle mani dei rivoltosi. Forse non a caso, quell’Ardizzoni figliolo di Gaetano, grande amico e sodale del Vate etnèo Mario Rapisardi, per cui "Volge fortuna i torbidi \ flutti, e con mobile talento opprime \ ne’ gorghi atri le specie, \ ch’or or dell’essere toccàr le cime" (Alla virtù, dalle Poesie Religiose), già ultimo Sindaco prefascista di Catania e primo dalla liberazione, dovette sanzionare con l’igneo segno, la dipartita del vecchio mondo.
La ricostruzione del fondamentale tempio della memoria amministrativa catanese fu lunga e complessa, trascorrendo tutti gli anni fecondi del dopo guerra: punti fermi, l’impegno dell’avvocato Frazzetta che presentò all’uopo una relazione nel 1947, e la commissione voluta dal Sindaco La Ferita nel 1955: di essa fecero parte coloro che, può affermarsi senza dubbio, s’armarono degli strumenti necessari e, architetti ed operaj, impegnàronsi per ridonare dignità storica alla città: i docenti Carmelina Naselli, autorità nell’ambito del folklore, Matteo Gaudioso di paleografia e diplomatica, e Salvatore Santangelo, maestro di Filologìa romanza (nonché autorevole esponente della Massoneria etnèa); coadiuvati dall’apporto del filone ‘ecclesiastico’, di cui erano magna pars l’Assessore alla Pubblica Istruzione Filina Gemmellaro, anima per molti anni del CIF locale, e Monsignor Antonino Di Stefano. La Commissione negli anni successivi ha veduto l’apporto del bibliotecario Andrea Cavadi, e dei docenti Vito Librando e del chiarissimo Accademico Giuseppe Giarrizzo, il quale fu, in certo senso, il Socrate della rinascita dell’Archivio, trasferito finalmente nella degna e funzionale sede di via Sant’Agata, in fondo a via Santa Maria del Rosario, alle spalle del piano dell’Università, locali ex tempio del Rosario o di Santa Caterina, distrutti dall’incursione aerea degli ‘Alleati’ nell’estate 1943, poi venduti e riadattati dal Comune. Rammentiamo la bella cerimonia, ove fra l’altro si installò nelle stanze attigue la Fondazione Verga (quasi parallela la nascita di questa al ‘risorgimento’ del civico Archivio), abbondante di carte e manoscritti, alcuni ancora inediti, del celeberrimo scrittore verista: era già al ‘timone’ di codesta prestigiosa ‘nave’, Marcella Minissale, donna di multiforme ingegno che in questo dodicennio ha proposto, ad un pubblico sempre più attento e ricettivo, attraverso diverse mostre documentali (le carte commerciali dei Verga, le lettere degli internati, ricordi di eventi sportivi, per ultimo esposizione di rari tomi) e presentazioni di libri di autori contemporanei, una immagine plurisemantica e caleidoscopica dell’Archivio, la quale sia assolutamente lungi dagli schemi polverosi, che vedono l’archivista sommerso da quintali di quella "polvere vincitrice" della quale, anni fa, ci narrava il compianto arabista Francesco Gabrieli, in un suo racconto-verità. Vince davvero la polvere a volte, nelle pieghe del privato: ma una pubblica istituzione deve donare, pietra grezza ben levigata da sapienti mani –fu questa una bella lezione di vita che più volte, dalle sale dell’Archivio, suggerì, con lo stile elegante che lo contraddistingueva, il compianto storico e già Sovrintendente Gianfilippo Villari-, la luce a coloro che ne fruiscono. E’ tale l’impegno della dirigenza e dei solerti e meritevoli collaboratori: ivi i registri dello Stato Civile di Catania dal 1820 al 1905 possono svelare misteri e sciogliere privati e pubblici enigmi; ivi le carte dell’ECA rammentano della tragedia dei bisognosi, quasi tutti, che la infelice guerra provocò; ivi la digitalizzazione in corso di molto del notevole materiale documentario, ove completata anche in parte (percorso iniziato già col volume "Il riscatto della memoria" ed accluso CD, del 1998), permetterà allo studioso di sentirsi confortato, nel perseguire un cammino non più oscuro ed irto di ostacoli, ma semplificato.
Così quel luogo già sacrato alle lodi di Nostra Signora, immortale stella che ogni essere di polvere, nel breve tratto del cammino vitale, guida silente ma incorrotta nella sua maestà soavissima, riceve ancor oggi prestigio, anima e dolcissimo cuore.
 
FGio

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