Il tempo non cancella il ricordo. Anzi, colorisce di tratti misteriosi quel che è stato, quel che può essere. Chiave di volta per il presente? Forse, se si è ancora in tempo. Come Platone nel Fedone: ancora, vi è luce.
Catania città insonnolita e distratta nella incipiente primavera del decimo anno del nuovo millennio, non può dimenticare due persone straordinarie, che l’hanno adornata di amore, col frutto del loro lavoro, perfezionato dalle arti sorelle che furono e sono loro compagne. Chi ha amato i libri, chi è studioso autentico rammenta sempre che nelle due massime biblioteche della città, la Universitaria allocata nel palazzo centrale, Syculorum Gymnasium, e la Civica ex benedettina troneggiante nel maestoso monastero su l’acropoli, vera reggia attraverso i secoli, vi furono a’ vertici, dal 1968 agli anni 1995-98, due studiosi che univano la competenza alla virtù: Salvatore Mirone alla Universitaria e Maria Salmeri alla Civica. Da anni i due, coniugi nella vita privata, proseguono nel loro stile di vita discreto e riservato, come è d’uso. Felicemente qui desideriamo rammentarne, ai molti verso cui furono disponibili di informazioni e consigli, ai tanti che aiutarono a crescere e migliorare, il contributo umano e culturale, verso una comunità che, forse sino ad oggi, non li ha adeguatamente celebrati come meritano.
Salvatore Mirone, autore fra l’altro della dòtta voce sulla Biblioteca Regionale Universitaria presente nelle due edizioni della Enciclopedia di Catania, pubblicata negli anni ottanta dal compianto editore Tringale, ha il merito di aver diretto l’istituzione in un periodo difficile ma anche felice per l’ampliamento ed il consolidamento del patrimonio librario e dei manoscritti: sua operazione fu l’acquisizione, nell’ottobre del 1978, delle carte di Giovanni Verga, tra cui i manoscritti dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo ed altri molti; nonché molto materiale epistolare di Federico De Roberto. Inoltre egli fu promotore di diverse iniziative culturali, tra cui ricordiamo la mostra della Letteratura catanese tra le due guerre; affitta i locali di palazzo Carcaci, in via Etnea 84, per crearvi, esigenze di spazio lo imponevano, la sezione staccata della Biblioteca, ove si collocano molti fondi storici, e dove nel 1983 viene creata la sezione musicale e fonografica, di cui oggi possono usufruire molti. Un autentico operatore culturale dòtto ed attento quindi, come si notò anche dalla cura che infuse nel promuovere, tra le ultime opere, il catalogo dei Periodici della Biblioteca: inoltre ha contribuito alla acquisizione, unitamente alla Soprintendenza regionale che subentrò negli anni Sessanta nella gestione della Biblioteca, dell’ex collegio dei Gesuiti di via Crociferi, fino a pochi mesi fa Istituto statale d’Arte (oggi chiuso per lavori di consolidamento), ove un giorno la Biblioteca dovrebbe trasferirsi.
Salvatore Mirone è tra gli intellettuali che animarono la stagione culturale catinense nel torno di tempo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX: tra i più appassionati collaboratori di Incidenza, il bimestrale di letteratura ed arte diretto da quell’infaticabile poeta e creatore di avanguardie che fu padre Antonio Corsaro, si rivelò al pubblico con una raccolta di poesie dedicate a Giorgio Morandi, il grande pittore, pubblicate nella collana omonima della rivista. I suoi "taccuini di viaggio", gli appunti ed altre note che ritroviamo, in vecchi numeri di Incidenza che, da cercatori di quella Luce ispiratrice che ovunque si cela ma è necessario scorgere per ben coglierne l’aire, abbiamo rintracciato, ci narrano di uno scrittore estremamente sensibile ai movimenti, ai suoni ed ai colori: un uomo di rara caratura, tendente alla perfezione. "Quando scendo a Ledìspoli, torna improvvisamente la mia infanzia: quando fui a Viareggio nel ’41 (o lontano, a Rodi, nel ’38). Un’aria di mare inquieto, con il vento che cade fra le tende e poi s’alza tra i villini coloniali… risento le punte degli zoccoli; stracci di cotone azzurro sono i calzoni dei ragazzi. La felicità rasenta nell’ozio misura di umiltà…
A Cerveteri: Questi paesi segregati vivono nel deserto del silenzio; e il silenzio è la campagna… Qui mi sono fermato per udire le cicale; e qui –come un tratto- s’è rotto il filo del pensiero: tra i rami degli ulivi vecchi, in un’unica striscia d’argento delle foglie" (da Paesaggi, in Incidenza aprile 1964). Ed ancora: "La casa di Morandi: … forte e curvo scende con una lentezza da patriarca. Poi, non ricordo altro se non un tempo lunghissimo (come d’infanzia ritrovata) in un salottino stretto, con gli oggetti rigidi e scarni, e un vaso coi fiori rossi e raccolti… Le montagne vicine, che chiudono il pianoro, hanno mutato colore. Andiamo verso l’ombra.
A Roma: …la luce abbaglia le finestre, mentre una campana invade il cielo sonoro come una fuga di nubi" (da Incidenza, febbraio 1964).
Può darsi che in un verso, "l’ombra nera, deposta, ha la stessa valenza della luce", vergato nei momenti di vita militare che il Mirone segnava, a Maddaloni nel 1959 (su Incidenza del dicembre 1964), vi sia la misura di tutte le cose, come suggerivasi un tempo. O preferiamo crederlo.
Ed è attraverso il tempo ritrovato, sorta di ‘recherche’ proustiana, che l’abbrivio alato ci trasporta verso Maria Salmeri, che della Biblioteca Civica e Ursino Recupero, ente morale mercé il regio decreto del 1931, fu il genius loci, dal 1968 al luglio 1998. Direttrice brillante e molto amata per la sua competenza e passione, ha trasfuso nel ruolo assegnatole l’amore per l’arte che porta nel sangue: poiché nipote per parte materna di quell’Alessandro Abate, pittore celebre e rinomato nel panorama artistico nazionale fra il XIX ed il XX secolo, le cui opere ancora abbelliscono Musei pubblici e adornano private magioni.
E tanto più il ruolo di Maria Salmeri, quale responsabile della Biblioteca ex benedettina, la cui "acribia filologica " lo storico Giuseppe Giarrizzo lodò nella prefazione al Catalogo dei Periodici, in quattro volumi, che rimane imperitura testimonianza del suo operato nell’ente, si nota oggi, in tempi di decadimento etico e strutturale di quel tempio della memoria che ha veduto le opere di studiosi e lettori noti ed ignoti, oscuri e celeberrimi: lavori prestigiosi e di minuto ordine ma sempre instillati d’amore che in quel luogo maestoso e magico nacquero, sovente proprio per impulso ed incoraggiamento di Maria Alessandra Salmeri. Chi scrive può ben dirlo, testimone muto e diretto di tutto ciò, con cognizione di causa.
In quelle sale, la cui storia ella ha sapientemente tracciato, sempre nella voce apposita racchiusa nell’Enciclopedìa di Catania, si notavano Santo Mazzarino e Rosario Romeo, Giuseppe Giarrizzo e Sebastiano Catalano, Giovanna Finocchiaro Chimirri ed altri meno noti, seduti magari al fianco di imberbi studentelli i quali, con timida passione, iniziavano nel tralucere delle enormi finestre protette dalle inferriate, il cammino della vita intellettuale. E la grand’ombra di Mario Rapisardi, giganteggiare nella stanza attigua, fu sempre da Maria Salmeri –poiché la biblioteca da cent’anni possiede la più gran parte delle carte e dei libri del Vate etnèo- adeguatamente onorata: lei s’adoprò onde acquisire al patrimonio comune i fondi del giornalista e studioso giarrese, ma catanese d’animo, Francesco Granata (tra cui alcune tele rapisardiane): come quelli di Saverio Fiducia, letterato e scrittore insigne, e dei musicisti Santo Santonocito, Antonio Savasta, del rapisardiano scrittore Lorenzo Vigo Fazio, del critico cinematografico Enea Ferrante; inoltre acquisì i carteggi ed i libri di Carlo Sada, di Bonaiuto, Libertini e Casagrandi, ed il fondo Vincenzo Giuffrida. La sua opera trentennale fu di autentica sostanza e costellata di grande esperienza. E tuttavolta, anche della Maria Salmeri letterata qualcosa si rintraccia, meritoria opera di padre Corsaro (che rammentiamo tanto ieratico nei modi quanto variegato negli interessi), nella citata rivista Incidenza. Recensendo
"Rien va" di Mario Landolfi, pubblicato da Valecchi nel 1963, ella afferma: "… è un diario che l’autore imprende a scrivere avendo, però, già abbandonato ogni "volontà di dire", essendo pervenuto al limite ultimo tra la parola e il silenzio… Nulla, di tutta la realtà, merita di essere fermato, circoscritto dalle parole… Ma su questo raggiunto "silenzio", su questo vuoto perseguito con accanimento, su questa suprema "noia", nasce un nuovo puro canto: ancora la poesia dei sentimenti originari, non corrotti dalla abitudine o dalla viltà, spogli di ogni gravezza e di compiacimento, avvertiti e sofferti nel loro "fulgore d’origine"; insieme con l’amore stupito, trepidante, dubbioso di se stesso, per la figlia nata; insieme con le nuove riflessioni e le nuove prospettive sull’esistenza a cui questo amore costringe" (su Incidenza aprile 1964).
Parole che rispecchiano quella rara sensibilità, speculum della nobiltà autentica di chi ama le cose belle.
In fine, di Maria Salmeri e di Salvatore Mirone, due intellettuali di concreto prestigio che molto hanno donato alla cultura catinense, si può affermare quel che Federico De Roberto, anima eccelsa addentro a le secrete cose, vergava nella chiusa di Spasimo: "Vi sono di queste creature venute al mondo per convertirci alle cose delle quali purtroppo la vita ci fa dubitare. Il loro cuore è come una fontana di salute".
Catania città insonnolita e distratta nella incipiente primavera del decimo anno del nuovo millennio, non può dimenticare due persone straordinarie, che l’hanno adornata di amore, col frutto del loro lavoro, perfezionato dalle arti sorelle che furono e sono loro compagne. Chi ha amato i libri, chi è studioso autentico rammenta sempre che nelle due massime biblioteche della città, la Universitaria allocata nel palazzo centrale, Syculorum Gymnasium, e la Civica ex benedettina troneggiante nel maestoso monastero su l’acropoli, vera reggia attraverso i secoli, vi furono a’ vertici, dal 1968 agli anni 1995-98, due studiosi che univano la competenza alla virtù: Salvatore Mirone alla Universitaria e Maria Salmeri alla Civica. Da anni i due, coniugi nella vita privata, proseguono nel loro stile di vita discreto e riservato, come è d’uso. Felicemente qui desideriamo rammentarne, ai molti verso cui furono disponibili di informazioni e consigli, ai tanti che aiutarono a crescere e migliorare, il contributo umano e culturale, verso una comunità che, forse sino ad oggi, non li ha adeguatamente celebrati come meritano.
Salvatore Mirone, autore fra l’altro della dòtta voce sulla Biblioteca Regionale Universitaria presente nelle due edizioni della Enciclopedia di Catania, pubblicata negli anni ottanta dal compianto editore Tringale, ha il merito di aver diretto l’istituzione in un periodo difficile ma anche felice per l’ampliamento ed il consolidamento del patrimonio librario e dei manoscritti: sua operazione fu l’acquisizione, nell’ottobre del 1978, delle carte di Giovanni Verga, tra cui i manoscritti dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo ed altri molti; nonché molto materiale epistolare di Federico De Roberto. Inoltre egli fu promotore di diverse iniziative culturali, tra cui ricordiamo la mostra della Letteratura catanese tra le due guerre; affitta i locali di palazzo Carcaci, in via Etnea 84, per crearvi, esigenze di spazio lo imponevano, la sezione staccata della Biblioteca, ove si collocano molti fondi storici, e dove nel 1983 viene creata la sezione musicale e fonografica, di cui oggi possono usufruire molti. Un autentico operatore culturale dòtto ed attento quindi, come si notò anche dalla cura che infuse nel promuovere, tra le ultime opere, il catalogo dei Periodici della Biblioteca: inoltre ha contribuito alla acquisizione, unitamente alla Soprintendenza regionale che subentrò negli anni Sessanta nella gestione della Biblioteca, dell’ex collegio dei Gesuiti di via Crociferi, fino a pochi mesi fa Istituto statale d’Arte (oggi chiuso per lavori di consolidamento), ove un giorno la Biblioteca dovrebbe trasferirsi.
Salvatore Mirone è tra gli intellettuali che animarono la stagione culturale catinense nel torno di tempo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX: tra i più appassionati collaboratori di Incidenza, il bimestrale di letteratura ed arte diretto da quell’infaticabile poeta e creatore di avanguardie che fu padre Antonio Corsaro, si rivelò al pubblico con una raccolta di poesie dedicate a Giorgio Morandi, il grande pittore, pubblicate nella collana omonima della rivista. I suoi "taccuini di viaggio", gli appunti ed altre note che ritroviamo, in vecchi numeri di Incidenza che, da cercatori di quella Luce ispiratrice che ovunque si cela ma è necessario scorgere per ben coglierne l’aire, abbiamo rintracciato, ci narrano di uno scrittore estremamente sensibile ai movimenti, ai suoni ed ai colori: un uomo di rara caratura, tendente alla perfezione. "Quando scendo a Ledìspoli, torna improvvisamente la mia infanzia: quando fui a Viareggio nel ’41 (o lontano, a Rodi, nel ’38). Un’aria di mare inquieto, con il vento che cade fra le tende e poi s’alza tra i villini coloniali… risento le punte degli zoccoli; stracci di cotone azzurro sono i calzoni dei ragazzi. La felicità rasenta nell’ozio misura di umiltà…
A Cerveteri: Questi paesi segregati vivono nel deserto del silenzio; e il silenzio è la campagna… Qui mi sono fermato per udire le cicale; e qui –come un tratto- s’è rotto il filo del pensiero: tra i rami degli ulivi vecchi, in un’unica striscia d’argento delle foglie" (da Paesaggi, in Incidenza aprile 1964). Ed ancora: "La casa di Morandi: … forte e curvo scende con una lentezza da patriarca. Poi, non ricordo altro se non un tempo lunghissimo (come d’infanzia ritrovata) in un salottino stretto, con gli oggetti rigidi e scarni, e un vaso coi fiori rossi e raccolti… Le montagne vicine, che chiudono il pianoro, hanno mutato colore. Andiamo verso l’ombra.
A Roma: …la luce abbaglia le finestre, mentre una campana invade il cielo sonoro come una fuga di nubi" (da Incidenza, febbraio 1964).
Può darsi che in un verso, "l’ombra nera, deposta, ha la stessa valenza della luce", vergato nei momenti di vita militare che il Mirone segnava, a Maddaloni nel 1959 (su Incidenza del dicembre 1964), vi sia la misura di tutte le cose, come suggerivasi un tempo. O preferiamo crederlo.
Ed è attraverso il tempo ritrovato, sorta di ‘recherche’ proustiana, che l’abbrivio alato ci trasporta verso Maria Salmeri, che della Biblioteca Civica e Ursino Recupero, ente morale mercé il regio decreto del 1931, fu il genius loci, dal 1968 al luglio 1998. Direttrice brillante e molto amata per la sua competenza e passione, ha trasfuso nel ruolo assegnatole l’amore per l’arte che porta nel sangue: poiché nipote per parte materna di quell’Alessandro Abate, pittore celebre e rinomato nel panorama artistico nazionale fra il XIX ed il XX secolo, le cui opere ancora abbelliscono Musei pubblici e adornano private magioni.
E tanto più il ruolo di Maria Salmeri, quale responsabile della Biblioteca ex benedettina, la cui "acribia filologica " lo storico Giuseppe Giarrizzo lodò nella prefazione al Catalogo dei Periodici, in quattro volumi, che rimane imperitura testimonianza del suo operato nell’ente, si nota oggi, in tempi di decadimento etico e strutturale di quel tempio della memoria che ha veduto le opere di studiosi e lettori noti ed ignoti, oscuri e celeberrimi: lavori prestigiosi e di minuto ordine ma sempre instillati d’amore che in quel luogo maestoso e magico nacquero, sovente proprio per impulso ed incoraggiamento di Maria Alessandra Salmeri. Chi scrive può ben dirlo, testimone muto e diretto di tutto ciò, con cognizione di causa.
In quelle sale, la cui storia ella ha sapientemente tracciato, sempre nella voce apposita racchiusa nell’Enciclopedìa di Catania, si notavano Santo Mazzarino e Rosario Romeo, Giuseppe Giarrizzo e Sebastiano Catalano, Giovanna Finocchiaro Chimirri ed altri meno noti, seduti magari al fianco di imberbi studentelli i quali, con timida passione, iniziavano nel tralucere delle enormi finestre protette dalle inferriate, il cammino della vita intellettuale. E la grand’ombra di Mario Rapisardi, giganteggiare nella stanza attigua, fu sempre da Maria Salmeri –poiché la biblioteca da cent’anni possiede la più gran parte delle carte e dei libri del Vate etnèo- adeguatamente onorata: lei s’adoprò onde acquisire al patrimonio comune i fondi del giornalista e studioso giarrese, ma catanese d’animo, Francesco Granata (tra cui alcune tele rapisardiane): come quelli di Saverio Fiducia, letterato e scrittore insigne, e dei musicisti Santo Santonocito, Antonio Savasta, del rapisardiano scrittore Lorenzo Vigo Fazio, del critico cinematografico Enea Ferrante; inoltre acquisì i carteggi ed i libri di Carlo Sada, di Bonaiuto, Libertini e Casagrandi, ed il fondo Vincenzo Giuffrida. La sua opera trentennale fu di autentica sostanza e costellata di grande esperienza. E tuttavolta, anche della Maria Salmeri letterata qualcosa si rintraccia, meritoria opera di padre Corsaro (che rammentiamo tanto ieratico nei modi quanto variegato negli interessi), nella citata rivista Incidenza. Recensendo
"Rien va" di Mario Landolfi, pubblicato da Valecchi nel 1963, ella afferma: "… è un diario che l’autore imprende a scrivere avendo, però, già abbandonato ogni "volontà di dire", essendo pervenuto al limite ultimo tra la parola e il silenzio… Nulla, di tutta la realtà, merita di essere fermato, circoscritto dalle parole… Ma su questo raggiunto "silenzio", su questo vuoto perseguito con accanimento, su questa suprema "noia", nasce un nuovo puro canto: ancora la poesia dei sentimenti originari, non corrotti dalla abitudine o dalla viltà, spogli di ogni gravezza e di compiacimento, avvertiti e sofferti nel loro "fulgore d’origine"; insieme con l’amore stupito, trepidante, dubbioso di se stesso, per la figlia nata; insieme con le nuove riflessioni e le nuove prospettive sull’esistenza a cui questo amore costringe" (su Incidenza aprile 1964).
Parole che rispecchiano quella rara sensibilità, speculum della nobiltà autentica di chi ama le cose belle.
In fine, di Maria Salmeri e di Salvatore Mirone, due intellettuali di concreto prestigio che molto hanno donato alla cultura catinense, si può affermare quel che Federico De Roberto, anima eccelsa addentro a le secrete cose, vergava nella chiusa di Spasimo: "Vi sono di queste creature venute al mondo per convertirci alle cose delle quali purtroppo la vita ci fa dubitare. Il loro cuore è come una fontana di salute".
Francesco Giordano
(nelle immagini, il palazzo centrale dell'Università di Catania nell'omonima piazza, sede della Biblioteca regionale; e la sala Vaccarini, Biblioteche riunite Civica e U.Recupero, ex monastero Benedettino, Catania)