giovedì 31 maggio 2018

XXXI maggio 1860, Catania si ribella ai Borboni e accoglie i Garibaldini per l'Unità d'Italia con Vittorio Emanuele




XXXI maggio 1860, Catania si ribella ai Borboni e accoglie i Garibaldini  per l'Unità d'Italia con Vittorio Emanuele

Catania, 31 maggio del 1860: mentre le truppe dell'Esercito Nazionale del Generale Giuseppe Garibaldi, già Dittatore di Sicilia pochi giorni prima proclamatosi, erano per via verso Catania al comando del Generale Bixio (con personaggi che poi sarebbero divenuti famosi, Ippolito Nievo e Giuseppe Cesare Abba), un gruppo di patrioti capitanati dal colonnello Giuseppe Poulet, ribellàronsi ai tremila soldati della guarnigione borbonica comandata dal generale Tommaso Clary: vennero respinti nonostante atti di eroismo, ma ciò servì per convincere il militare fedele a Re Francesco ad abbandonare Catania, che venne occupata dalle truppe garibaldine pochi giorni dopo, il 15 luglio: così scrive l'Abba, in "Da Quarto al Volturno": "Credeva d'entrare in una città di Ciclopi, ma appena oltre la porta minacciosa per i massi di cui è formata, ecco la via lunga fino al mare, ampia, lavata, fresca come vi dovesse passare la processione del Corpus Domini" (la porta è quella di piazza Palestro poi chiamata Garibaldi, prima Ferdinanda;  si descrive la via Vittorio Emanuele ma anche via Garibaldi, l'Autore fonde in unicum le due bellissime strade... notare, "lavata, fresca..." nel luglio 1860!)... "Eravamo un drappello che precedemmo la brigata e i primi fiori gli avemmo noi. In piazza dell'Elefante una sentinella chiamò la guardia, dieci o dodici giovinotti balzarono a schierarsi, presentarono l'armi facendo le faccie fiere"...
I catanesi odiavano i Borboni, come e più di tutti i Siciliani, sin da quando la fatale dinastia demolì la libertà isolana con la chiusura del Parlamento dopo il tradimento della Costituzione "inglese" del 1812 e la soppressione del Viceregno con la nascita del Regno delle Due Sicilie (dicembre 1816) e l'invio di un Luogotenente, come se si trattasse di una colonia e non del centro primigenio del potere; altresì Catania venne martoriata e bombardata e violentata dai borboniani e dai mercenari svizzeri al soldo di Ferdinando II nella primavera 1849: odio e rancore antico e generazionale, per cui nell'estate 1860 la liberazione fu entusiasmante.
La lapide che si vede in foto e ricorda l'evento, murata nel prospetto nord del palazzo municipale affacciata su piazza dell'Università in Catania, venne ivi collocata nella seconda metà dell'Ottocento, dettata dal Poeta Mario Rapisardi; danneggiata da una scheggia durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, fu restaurata nel centenario dell'Unità nazionale, anno 1961.
"Il popolo catanese - guidato dal prode Giuseppe Poulet - assaliva in questo luogo i satelliti- della cadente tirannide borbonica"
Italia e Vittorio Emanuele, Garibaldi e Cavour, ieri, oggi...
                                                                                                        FGio

giovedì 22 marzo 2018

Dinanzi a un ritratto, poesia di Mario Rapisardi


La Primavera è giunta: la salutiamo con questa bellissima Poesia d'amore  del Vate Mario Rapisardi (Catania 1844-1912), del quale le nostre pagine da sempre si occupano: Vale Marius! Vale, primo vere!


Dinanzi a un ritratto

Io sono il mar che con urla tremende
al ciel si lancia, e navi e ciurme inghiotte;
turbo son io che per la cieca notte
oasi sconvolge, e carovane offende;
Prometeo son che alle fulminee lotte
l'indomita de' numi ira raccende,
e sopra l'are sgominate e rotte
l'ora suprema o la vittoria attende.
Ma se di tua beltà miro il portento
e il roseo collo e li fidìache braccia,
e penso a' baci, ond'io ho gioja e tormento,
piego allora sul petto umil la faccia,
lago diventa il mare, alito il vento,
voce d'amor la prometèa minaccia.

(Da Le Ricordanze, parte III, 7° edizione, Sandron 1922)

          Amelia Poniatowski Sabernich, l'ultima compagna del Rapisardi

mercoledì 24 gennaio 2018

Rose d'inverno, poesia di Mario Rapisardi


Gennaio è il mese in cui il Vate della Poesia italiana dell'Ottocento, Mario Rapisardi, s'involò in quel mondo che lui chiamava "Etere immenso": era il 1912. E'  mese di tenebra ma in aspettativa di rinascita.
Rileggiamo una delle sue poesie più belle, dalla raccolta delle "Religiose" la quale, dopo un secolo, ripubblicammo a nostra cura, nel 2012, pe' tipi di Boemi editore, presentata in Catania nei locali della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, palazzo Tezzano, nel dicembre di quell'anno.
La rosa è simbolo di Amore ma anche di Morte, la "bella morte". Sulla terrazza della casa ultima di Rapisardi, in via Etnea alta, fiorivano delle rose bianche: egli le ammirava in silenzio, mentre l'Amelia, dolce straniera ultima Musa del Poeta, lo accudiva devota.


Rose d'inverno

Tu, caro cespo, or ch'ogni ramo intorno
Vedovo stride al nembo,
E, come in pio soggiorno,
S'asconde il seme della terra in grembo,
Tu, non già sordo all'invernal tormento,
Ma generoso e pago,
Gitti al nemico vento
La fragranza de' fiori, onde sei vago.
Non dissimile io son: contro al cor mio
Scocca l'odio gli strali
Avvelenati, ed io
Lieto di mia virtù rido a' miei mali.
E in ogni piaga mia rosseggia un fiore;
E per ogni saetta
Fiorisce un verso. O amore,
E' questa, e tu te 'l sai, la mia vendetta.