Santa Maria dell’Aiuto e Sant’Euplo di Catania: fra storia e simboli
Una attenta quaestio di storia patria, formulataci dall’eminentissimo Rettore Monsignor Carmelo Smedila del Santuario di Santa Maria dell’Ajuto in Catania, di antica venerazione, è la scaturigine di codeste note, vergate ad uso e decoro della città e di tutti coloro che con cuore sincero, mòndo da interessi veniali, la amano. Pare affatto notevole, ove sino ad oggi non ci risulta sia stato ne’ dettagli indagato, illuminare i rapporti storici che intercorsero fra la venerata tela della Madonna dell’Ajuto, assai amata dal popolo "per la frequenza delli Miracoli" (afferma il cronista secentesco Privitera), ed i luoghi del martirio di Sant’Euplo (ovvero Euplio), diacono e compatrono di Catania assieme alla Vergine Sant’Agata. Questo giovane zelatore dell’Evangelo, della buona novella del Risorto, come molti sanno patì sotto Diocleziano persecuzione e martirio proprio a causa del voler manifestare apertis verbis, in tempi di fanatismo, il suo credo. Rileggiamo la cronaca dei fatti dall’insigne testo di Storia Ecclesiastica di Monsignore Antonio Godeau (tomo III, Venezia 1762, pag. 188-192): "In Catania Euplo Diacono restò sorpreso nel tempo, che leggeva il Vangelo ad alcuni Cristiani. I Soldati lo condussero dinanzi a Calvisiano. Per la strada gridava: io son Cristiano, e dïsidero di morire per lo nome di Gesù Cristo. Il Giudice lo interrogo, onde avesse avuto quel Libro, e se lo avesse portato seco dalla sua casa. Il Diácono rispose : Non ho casa come è ben noto al mio Dio, Signore Gesù Cristo. Calvisiano aperse il Libro dei Sacrosanti Ecc.mi Vangelj , e gli venne dinanzi agli occhi quel passo ; Beati sono coloro, i quali soffrono persecuzione per la giustizia , perché di essi è il Regno de' Cieli. Continuando a volgere il Libro lesse quell' altro ; E chi vuol venir dietro a me, prenda la sua croce, e mi segua. Cosi divine parole parvero molto stravaganti al Giudice accecato da Idolatría, e diede ordine, che Euplo messo fosse alla tortura. I carnefici gliela diedero asprissima ; ma nella violenza de' tormenti il Diácono null' altro disse se non: Grazie, o mio Dio, ti rendo: ed abbi pietà di me, che per amor tuo tali cose patisco. Calvisiano comandò, che si desistesse alquanto dal tormentarlo, e prese quello tempo per esortarlo a sacrificare agli Dei, al fine di liberarsi. Rispose Euplo io adesso sacrifico me stesso a Dio, ne mi rimane altro da fare ; invano ti affatichi di spaventarmi; sono Cristiano. Si fatta risposta vieppiù accrescendo la collera di Calvisiano, lo condannö egli ad esser decapitato. Gli fu appeso il Libro degli Evangelj al collo, ed incontrö con tanto coraggio la morte, quanto ne avea dimostrato nel combattere per la sua difesa".
Il luogo dove il cristiano battezzato Euplo, il quale non essendo un sacerdote –nel senso che oggi si intende- è tanto più meritevole di lode in quanto può essere considerato, specie alla luce degli insegnamenti dottrinali del Concilio Ecumenico Vaticano II, un preclaro esempio di quei figli prediletti che nell’assemblea divina non di rado si manifestano (fra l’altro è importante rammentare che gli atti del suo processo sono pressoché gli unici a esserci giunti in versione completa nella nobile, ed ancora ufficiale oggi nella Chiesa, lingua latina), è noto, ossia il Cortile di San Pantaleone, il quale in epoca romana era l’antico Foro, la platea magna della città. Ivi si concentravano tutti gli edifizi più importanti della Catina risorta a novella vita mercé la volontà di Augusto primo Imperatore, nonché (cfr. F.Giordano, "L’anfiteatro romano di Catania", Catania 2002) costruttore del grandioso, ed unico dopo il Flavio di Roma per la sua bellezza e maestosità, anfiteatro romano il quale, dai discavi del 1906, è visibile in piazza Stesicorea. Il nostro illuminato storico Francesco Ferrara, abate e letterato e scienziato di cui è bene far grata citazione, citando il Bolano, così descrive il Foro: "la fabbrica aveva forma quadrata bislunga di 50 piedi. Mancava affatto il lato di occidente; quello a mezzogiorno mostrava ancora otto botteghe, quello ad oriente sette, quello di tramontana quattro. Oggi non restano che quelle ad oriente e tre a mezzogiorno attaccate alle prime ad angolo retto. Servono di moderne abitazioni, e formano all’intorno il cortile detto di S.Pantaleo" (in "Storia di Catania…", Catania 1829, pag.308). Nel Foro pertanto la decollazione di Euplo, speculum di quella del Battista (non casuale accostamento, come vedremo in appresso), si svolse sotto il concorso di molti catanesi, come precisa lo studioso patrio Sac. Giuseppe Consoli "La sentenza pare venisse eseguita nel centro della città, attuale cortile San Pantaleone, dove anticamente era una chiesa a lui dedicata. Il suo corpo fu custodito con venerazione a Catania nel 975, poi non se ne ebbe notizia alcuna. Dopo qualche tempo si seppe che si trovava a Trivico (provincia di Avellino, Diocesi di Lacedonia), dove è sommamente venerato da quella popolazione. Si crede che sia stato involato dall'isola assieme ai corpi di altri martiri (S.Agata, S.Lucia, i santi catanesi, ecc.) e per vicende a noi ignote, lasciato in quella cittadina" (ne "Catania, Il Duomo", 1950, pag.88). Le vicende del trafugamento del corpo sono tuttavolta ricostruibili: a Catania gli arabi entrarono (ad opera dell’Emiro Abd el Kassem, afferma il Ferrara) nell’878, quindi cinquant’anni ed oltre dopo lo sbarco di Asad ibn Al Furat a Mazara del Vallo, nel giugno dell’827. Le consuetudini cristiane si mantennero intatte, se si eccettua il pagamento della tassa, per il secolo X ("c’è lu Gaitu, e gran pìna ‘nnì dùna: vòli arrinùnziu a la fidi Cristiana", cantava il popolo che non voleva pagar né dazio né mutar religione): ma era all’orizzonte Maniace ed i suoi epigoni, per trasportare in luoghi liberi "dagli infedeli" le reliquie dei Santi protettori, in primis Agata. Pertanto alcuni valorosi, i cui nomi ci son rimasti ignoti, evidentemente trafugarono il corpo del martire Euplo, trasferendolo in quel di Trivico, o Trevico, di dove forse uno di costoro, normanno, era originario. Era allora Vescovo e Metropolita di Catania Eutimio; che fu a Costantinopoli disputando con Fozio.
Per meglio precisare la toponomastica del luogo del martirio del Santo (cella di detenzione fu invece la grotta ancor visitabile, in piazza oggi della Borsa, ove egli fu rinchiuso: antico carcere e, con maggior certezza, necroterio civico), si tenga ben presente che esso è il cuore di quel quartiere che, sin dal IV secolo e per tutto il XVII secolo, fu la Giudecca: divisa in due grandi rioni, "judeca soprana e judeca suttana" o "di susu e di jùsu", secondo l’antico vernacolo, attraversata dal sempiterno e fondamentale (per l’approvvigionamento idrico della città) fiume Amenano (il quale infatti veniva anche appellato Judicello, o fiume de’ giudei). Il cuore della Giudecca, l’intersezione dei due quartieri, era la via Pozzo Mulino, così denominata da due pozzi pòsti al limitare della strada, l’uno ad est l’altro ad ovest (per tutta l’indagine sul luogo, cfr. F.Giordano, "La Giudecca di Catania", ne "La Fenice" n°25\26 ott.dic. 2003). La chiesa di riferimento era quella di Santa Marina (in ebraico antico la radice màr vale amaro, ma anche splendente): la nota della storia del Santuario dell’Ajuto precisa che "nel 1635 vi era una Congregazione sacerdotale che zelava il culto della Madre di Dio nella chiesa di Santa Marina sita all'epoca nell'attuale via Pozzo Mulino. Nel 1641, il 3 novembre, la Congregazione sopracitata portò solennemente nella chiesa di SS.Pietro e Paolo una preziosa tela della Vergine che per i miracoli fatti al popolo,dalla pubblica icone dove si trovava venne invocata col titolo di Madonna dell'Aiuto". Quindi proprio la chiesa di Santa Marina e la sua Congregazione fomentavano il culto della immagine sacra della Vergine Madre, esposta nella pubblica via: essendo i fautori del trasporto nel tempio attuale. Il collegamento con Sant’Euplo è palese allorché si precisa che la dietro la chiesa di S.Marina, già S.Anna dei Casalini, "era quella di S.Giovanni della judeca, dedicata poi a S.Euplo" (G.Policastro, Catania prima del 1693, Catania 1952, pag.208). Codesta dedicazione della chiesa di S.Giovanni, evidentemente il decollato, a Sant’Euplo avvenne, aggiunge sempre il preciso ed informatissimo Policastro, nel 1486, per la tradizione del capo mozzato del santo, per cui ivi fu collocata una sua testa marmorea. (ibidem, pag.213). Altra tradizione, raccolta dal Pirro, vuole che proprio nel "puteo de Ugolino" (Ugolino era l’antico proprietario della casa che inglobava il pozzo ed altri casaleni, dònde il nome della via che per corruzione fonetica assunse poi quello di "pozzo mulino") venisse gettato il capo mòzzo del diacono martire. La chiesa di San Giovanni Battista quindi, tempio ove si venerava particolarmente Sant’Euplo, rammenta il parallelismo mistico fra i due campioni della religione rivelata (pare inoltre che all’ingresso ovest del cortile San Pantaleone esistesse un quadro, oggi occupato dall’immagine di San Giuseppe col Bambinello, proprio del Precursore decollato: vox populi intende che tale piccolo altarino fu la fonte della ispirazione, pel commediografo e giornalista d’assalto, Nino Martoglio, per la celeberrima commedia "San Giovanni decollato": evidentemente in zona il fantasma di mastr’Agostino Miciacio non cèssa di manifestarsi…).
Se la chiesa di S.Giovanni alla Giudecca ebbe forse un ideale continuum –ma la toponomastica, sia pur confusa, asserisce che furono edifizi diversi- con la pur assai vicina chiesa di San Giovanni Battista, la quale serbava decorazioni templari e dell’Ordine di Malta (era in via Garibaldi all’angolo della via San Giovanni, distrutta dal bombardamento aereo dei "liberatori", nel maggio 1943) e se il luogo preciso della decollazione di Euplo ancor si cela sotto i passi di tutti coloro che transitano in que’ luoghi densi di patrie memorie, il legame con la chiesa di Santa Marina (a cui verisimilmente fecero riferimento tutti i numerosi ebrei, convertiti dopo l’editto di Granata, che rimasero abitanti del quartiere) e quindi con la venerata immagine della Madonna dell’Ajuto, appare pertanto di evidente limpidezza. Peraltro, perfezionando qui un aspetto del sopra citato nostro studio di anni or sono, abbiamo rinvenuto –e siamo in grado di disvelare, come documenta l’istantanea allegata- quella che, probabilmente, fu l’antichissima chiesa di S.Marina (secondo una indicazione del Policastro), esattamente a sud di via Pozzo mulino, caratterizzata da una finestra a lunetta la quale tradisce l’originaria destinazione; pare altresì che ivi sino agli anni Trenta del secolo XX vi fossero degli affreschi descriventi il martirio di Euplo: da lunghissimo tempo è abitazione privata, trasformata forse nel secondo Ottocento. Evidentemente era stata ricostruita dopo il terremoto del 1693, ma il centro del culto era oramai trasferito a S.Maria dell’Ajuto, già SS.Pietro e Paolo: od era forse codesta la chiesa di S.Giovanni alla giudecca, ove si venerava il capo di Euplo? In ogni caso, il passeggiere può ben accorgersi dei vetusti avanzi, anche se mistificati artatamente dalle successive destinazioni d’uso.
Sulla tela della Vergine Madre e del Divin Figlio, ci sia permessa qualche precisazione. Le fonti ne parlano dal XVII secolo, ma è evidente, da una analisi anche superficiale senza scendere ne’ meandri della storia dell’Arte moderna, che le fattezze delle due figure, lo stile ed i colori sfumati, la collocano cronologicamente attorno alla metà del secolo XVI: tempi di grande tribolazione per Catania, anni di pestilenze, carestie e sommovimenti guerreschi. La zona detta della Giudecca era già dai secoli precedenti in buona parte proprietà del gran condottiero Artale Alagona e del di lui padre Don Blasco, Gran Cancelliere del Regno di Trinacria (nei secoli XIV e XV i Re di Sicilia dimoravano in Catania, e la loro sede era il castello Ursino). Fra l’altro Artale Alagona aveva una particolare predilezione per la Madre di Dio (cfr. F.Giordano, "La Rotonda…", Catania 1997), per cui si può supporre con un certo margine di approssimazione ragionevole, che la committenza la quale vòlle la realizzazione della tela, assecondando anche la pietà popolare, sia stata della famiglia magniloquente e benemerita della città, degli ultimi Alagona, grandi di Sicilia e d’Ispagna. In ogni caso, ad una analisi mistico-esoterica del quadro, saltano all’indagatore che si avventura "oltre il velame de li versi strani", secondo l’adagio del gran Poeta, alcune considerazioni.
La Madonna "auxilium Christianorum" è evidentemente bruna: non nera come quella della Santa Casa di Loreto (altra coincidenza non casuale: il Santuario Mariano dell’Ajuto custodisce, come è noto, la riproduzione della Santa Casa Lauretana, eseguita nel XVIII secolo in modo pressoché perfetto), e però secondante il verso del Cantico: "nigra sunt sed formosa". Si sa che il culto delle Madonne nere, come assevera la storia oramai acclarata, ha le radici nell’antica devozione isiaca che i popoli d’Oriente e di Occidente tributarono, prima del Cristianesimo, alla Magna Mater: da Chartres alle Vergini nere de’ Templari, da Tindari a Chestokowa sino alla Madonna nera del villaggio bavarese di Altòtting (molto cara all’attuale Santo Padre Benedetto XVI), il patrimonio mistico e storico della Chiesa ha nel bimillennio di feconda vitalità, tramandato un culto perenne e sempiterno di poesia arcana e di intenso, indistruttibile amore. La luna a’ piedi ideali della Gran Madre, rappresenta la Chiesa, secondo la lectio di San Bernardo di Clairvaux (colui che fu tra l’altro il ‘fondatore’ dei Templari e il redattore della Regola loro), il massimo studioso di mariologìa dell’evo antico: le stelle in numero di dodici che la attorniano, simbolicamente rammentano il collegio Apostolico. E tuttavia, il numero delle punte delle stelle è otto: l’otto è numero dell’equilibrio cosmico, della rigenerazione e della purificazione risuscitatrice (le fonti battesimali medievali hanno forma ottagona: lì l’iniziato sorge a nuova aurora); l’otto è mediatore fra quadrato e cerchio, e quale mediazione più perfetta della Vergine Madre, fra il Figlio suo ed il popolo di coloro che la vòcano, con estrema semplicità e sincero afflato?
Le mani della Madre di Dio sostengono il Bambino Gesù in modo preciso: la destra tiene la spalla, la sinistra poggia sulla coscia. Significato simbolico della spalla, è la potenza: secondo Ireneo, "la potenza " di Cristo "è sulle sue spalle"; mentre Dionigi l’Areopagita aggiunge: "le spalle rappresentano il potere di fare, di agire, di operare". La coscia è invece la rappresentazione della forza; secondo la Cabala, essa è analoga per importanza alla colonna. Forza e potenza di Cristo bimbo quindi, possiamo affermare, coadiuvate gestite e mediate dalla Grande Vergine Madre, nel nostro antico quadro.
V’ha infine un riferimento a nostro parere, nascosto, che l’autore –o la committenza- suggerirono nel pìngere le stelle ad otto punte: il Salmo numero otto -secondo la antica numerazione- ad una attenta lettura, laddove narra di stelle, della luna e del resto, si adatta mirabilmente ad una precipua meditazione in senso mistico intorno alla sacra immagine: lo trascriviamo nel suo puro linguaggio latino (segue una nostra versione italiana):
Dòmine, Dòminus noster, quam admiràbile est
nomen tuum in univèrsa terra !
Quoniàm elevata est magnificèntia tua, super caelos.
Ex ore infantium et lactèntium perfecìsti làudem propter inimicos tuos,
ut dèstruas inimìcum ed ultòrem.
Quòniam vidèbo caelos tuos, opera digitòrum tuòrum:
lunam et stellas, quae tu fundàsti.
Quid est homo, quod memor es ejus ?
Aut filius hòminis, quòniam vìsitas eum ?
Minuìsti eum pàulo minus ab Angelis, glòria et honòre coronàsti eum:
Et constituisti eum super òpera mànuum tuàrum.
Omnia subjecìsti sub pèdibus ejus, oves et boves univèrsas:
Insuper et pècora campi.
Vòlucres caeli, et pisces maris, qui peràmbulant sèmitas maris.
Dòmine, Dòminus noster, quam admiràbile est
nomen tuum in univèrsa terra !
(Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome nell’universa terra! Poiché la tua magnificenza si leva al di sopra de’ cieli. Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti procacciasti lode, ad onta dei nemici, per distruggere il nemico e l’avversario. Poiché contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita: la luna e le stelle che vi disponesti. Che è l’uomo, che memoria di lui? O il figlio dell’uomo, perché tu lo visiti? Lo facesti di poco inferiore agli Angeli, di gloria e di onore lo incoronasti: e lo costituisti alle opere delle tue mani. Tutto facesti soggiacere ai suoi piedi, pecore e buoi tutti: e le bestie della campagna. Gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, che nei flutti marini guizzano. Signore, nostro Signore: quanto è ammirabile il tuo nome nella terra universa!)
Inno alla Natura alma Mater, alla terra universa creatrice di concezione divina e pertanto immacolata, il Salmo (che echeggia reminiscenze egizie: confrontisi coll’inno ad Aton del faraone ‘monoteista’ Akhenaton, ovvero Amenonfi IV) parrebbe mirabile corona alle dodici stelle che fan da ideale raggiera alla Vergine: è una ogdoade che si ripete indefinitamente nella ideale concatenazione degli specchi (le otto punte per il numero di dodici fan novantasei, che è il tre ripetuto tre volte e due, ovvero la perfezione celeste che racchiude il pentalfa, l’Uomo perfetto e sempiterno, l’Adamo immortale, Gesù Alfa ed Omega), laddove si vince la Morte (nove più sei crea il quindici, che negli Arcani maggiori è il Diavolo: distruzione) con la Vita universa, nel più profondo mysterium fidei, arcana arcanorum della mistica di Colui il quale, spezzato il pane, disse: "Prendete, questo è il mio corpo" (Mc. 14, 22) ; ed anche "Un poco e non mi vedrete più e ancora un poco e mi vedrete" (Gv. 16,16).
Su l’altar maggiore del tempio della Madonna dell’Ajuto, affacciato graziosamente sulla strada Ferdinanda oggi via Garibaldi, sfolgorante delle dieci colonne barocche (anche l’incompiuta facciata della chiesa maestosa de’ Benedettini di San Nicolò la Rena ha dieci colonne: seppure moltissimi studiosi dicono -a torto poiché sovente non si ha l’umiltà di transìre lento pede ed osservare silenter- che siano otto), incastonate nella facciata di Antonino Battaglia, cèppo della famiglia di maestri costruttori della Catania post terremoto, Dio Padre adagia la mano sinistra sul mondo -la destra va verso l’alto- : il Delta trinitario è dietro il capo suo; un superbo compasso, simbolo della creazione perfetta ab origine, della Aequitas come della fraternità universale delle genti, sovrasta la terracquea sfera , nella certa consapevolezza che l’amore de’ puri, spalanca le porte del Regno a chi ha occhi per vedere, ed orecchie per sentire.
Francesco Giordano
(Nelle foto: S.Maria dell'Ajuto, la 'ritrovata' chiesa di S.Marina in via pozzo mulino, e Sant'Euplo)
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