venerdì 22 settembre 2017

Il palazzo Fassari Pace di Catania, "svelato" nella sua storia da Lettere Catinensi, fregiato dal cartello che ne indica la genesi storica





Il palazzo Fassari Pace di Catania, "svelato" nella sua storia da Lettere Catinensi, fregiato dal cartello che ne indica la genesi storica

Il tre giugno del 2009 pubblicammo sul nostro blog Lettere Catinensi, la storia, fino a quel giorno ignota del tutto a cronache, studiosi e  volumi che si sono occupati delle vicende architettonico storiche di Catania, di un palazzo settecentesco che nessuno considerava, situato nella parte alta di via Vittorio Emanuele di Catania, il palazzo Fassari Pace, nome che noi dèmmo alla struttura, in ossequio alle regole non scritte secondo cui l'ultima famiglia proprietaria dell'intiero stabile, ha diritto a donare allo stesso il nome. qui il link:
http://letterecatinensi.blogspot.it/2009/06/un-gioiello-della-architettura.html

L'autore dello studio, ricostruito attraverso ricerche difficili ma documentate all'Archivio di Stato, Comunale ed altre fonti bibliotecarie, è chi scrive. Sempre nel 2009, autorizzammo che il testo uscisse a stampa, nel volume "Catania nella memoria", a cura di Vera Ambra edizioni Akkuaria, dove insieme ad altri autori, raccontavamo storie della nostra città. Nell'agosto 2009, autorizzammo espressamente Wikipedia, l'enciclopedia online ormai fonte di consultazione per tutti, a riprodurre gratuitamente il frutto delle nostre ricerche, studio svolto con Amore verso la città: Wikipedia ha online il riferimento ove onestamente dichiara la nostra fonte, qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Discussione:Palazzo_Fassari_Pace

Bisogna altresì aggiungere che essendo Wikipedia enciclopedia online di libero contributo, vi è stato chi ha aggiunto, nella bibliografia della voce online
https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Fassari_Pace

riferimenti al Lexicon di Vito Amico ed a volumi di architettura di Boscarino e Dato, ove... non si fa nessun cenno, ma nessuno, al palazzo oggetto del nostro studio! Ovvio che se a' tempi della ricerca li avessimo trovati, sarebbero stati riferiti, ma così non è e chiunque può verificarlo. Qualcuno li avrà aggiunti per "farsi bello"? Non lo sappiamo e non ci interessa, i fatti parlano, basta consultare quelle fonti, che non citano per nulla l'esistenza del palazzo prima del nostro testo.

Da Wikipedia  è partito tutto... nel senso che, diversi siti turistici, di fondazioni private, sino ad arrivare a quello istituzionale del Comune di Catania, passando per la Regione la Provincia etnea e la Soprintendenza fino ad Itinerari storico culturali che ha promosso il cartello, hanno attinto alla "voce" di wikipedia sul palazzo suddetto... cioè al nostro studio. Non era necessario citarci, beninteso, perchè abbiamo provveduto per tempo, come prima detto, chi vuole sapere sa; molti hanno anche "prelevato" la foto del nostro blog e l'hanno utilizzata nei loro siti.

In questi anni abbiamo necessariamente visto "crescere"sul web  l'interesse per questo edificio della Catania barocca, che vide Goethe e Garibaldi, Mario Rapisardi (di cui l'ultima proprietaria Irene Fassari era amica...) e Peppino De Felice, Sua Maestà Vittorio Emanuele III e i varii politici della Repubblica, passare sotto i suoi balconi... perché, come diceva il buon Saverio Fiducia, scrittore e giornalista della Catania che fu (come lo furono Giuseppe Patanè, Filippo Anfuso, Concetto Pettinato, e poi Francesco Granata, Enea Ferrante, il caro Domenico Danzuso...), la via Vittorio Emanuele, già strada del Corso Reale poi intitolata al Re galantuomo, è la via più bella della  Catania antica (e anche la più densa di storia), molto ma molto di più della via Etnea, perché solo in quella via il sole s'alza la mattina dal mare osservato dalla Statua di Agata, e tramonta oltre le ex sciare di Sardo oggi piazza Risorgimento, decorando d'oro tutti i palazzi che le fanno cortina...

Qualche giorno fa scopriamo con piacere, come si può vedere dalla allegata foto, che Comune di Catania, FAI Regione ed altri enti, hanno deciso di installare, accanto al portone d'ingresso principale del palazzo in via Vittorio Emanuele, una targa che ne riassume brevemente la storia, in lingua italiana e traduzione inglese. E' il nostro testo, poco importa che non vi sia la firma... Ma è una notevole soddisfazione, dopo otto anni e senza, da parte nostra, nessuna altra "promozione" che quella del volume antologico suddetto del 2009. Le cose vanno come devono andare, la burocrazia anche culturale, ha i propri tempi, non coincidenti con quelli del cuore.   Solo una considerazione, che ha spinto queste noterelle: abbiamo dato, come in altri casi, questo contributo gratis et amore dei (chi ci conosce sa che è sempre così, o si agisce per Amore o non si agisce..), da studiosi senza cattedra, da ricercatori senza assegno:  era in fondo compito nostro, o di chi è pagato per questo e magari langue nei meandri di uffici ed atenei? Non importa, ciò non cambia la realtà. Noi con il Virgilio della VI ecloga delle Bucoliche, in questo caso, possiamo dire al popolo (25): Carmina quae vultis cognoscite, carmina vobis..."
                                                                                                Francesco Giordano

sabato 9 settembre 2017

Baronìa di Sciarotta, ovvero della vendemmia






Baronìa di Sciarotta, ovvero della vendemmia

Sciarotta è una contrada del territorio di Bronte, in quel di Sicilia, appié dell'igneo etneo vulcano, esattamente ad ovest dell'antico abitato che prende il nome dal mitico ciclope del Tuono, uno dei compagni di Polifemo, che la selvaggia cattiveria di Odisseo accecava, egli che era stato segnalato da Palamede perché nascostosi onde non combattere,  poi passato per eroe. Bronte ebbe fausta sorte, così il paese etneo a circa 750 metri sul livello del mare, conosciuto in tutto il mondo come la "patria" del pistacchio, questo frutto magico da' colori della bandiera nazionale italiana con predominanza del verde (la drupa è rossa però, la buccia bianca, solo il cuore intensamente verde), tanto da essere conosciuto in tutto il mondo con la particolare denominazione di "oro verde", la cui squisitezza ha fatto ottenere in anni recenti la certificazione europea DOP.    

Bronte è famosa nel mondo perchè un celebre condottiero, l'ammiraglio inglese Horatio Nelson, fu nominato dal Re di Sicilia e Napoli Ferdinando, Duca di Bronte, dopo la folgorante vittoria di Abukir (1798), che sconfisse l'armata di Napoleone: ancora oggi nella Ducèa vicino Maniace, visitabile, sussistono ricordi dell'eroe del Nilo. Per tutta la vita egli volle firmarsi "Nelson e Bronte". Le celebri sorelle Brontè, autrici di Jane Eyre e Cime tempestose, prendono il cognome dal paesino etneo. Altresì nella fondazione moderna di Bronte, intorno alla metà del XV secolo -i Capitolari sono andati perduti ma lo storico locale B.Radice ne ha ricostruito la genesi- sono coinvolti gli Epiroti, qui anche detti Albanesi, profughi dopo la conquista mussulmana di Epiro ed Albania. Come a Biancavilla (lo si è scritto nel libro "Il Regno di Epiro nell'Europa di ieri e di oggi", Akkuaria 2016) direttamente fondata dagli epiroti per volere della sacra icona bizantina di Maria SS. dell'Elemosina, così a Bronte una nutrita colonia di profughi dalla terra d'Epiro venne accolta e partecipò alla nascita moderna della comunità brontese.  Ancor oggi, nel linguaggio dialettale locale, sopravvivono termini greco epiroti sia nei cognomi (Schillirò, Zappia) che nel linguaggio dei contadini: cònca o braciere da kùnk, fumèri o letame da fumèr, cuppìnu o mestolo da kupin, ed altri. L'eredità dell'Epiro vive ancora nel parlare del popolo brontese...   Di Bronte fu il filosofo e sacerdote settecentesco Nicola Spedalieri.  A Bronte nell'agosto 1860 accaddero celebri tumulti popolari che Giovanni Verga ha riassunto nella novella Libertà.

Sciarotta si è formata, come suggerisce lo stesso nome, "sciara rotta", dal continuo combattimento fra l'Uomo e la Natura, questa eterea Diva che ambiguamente attrae e respinge l'abitatore della Terra: così alle millenarie eruzioni laviche che, sino al XVII secolo, hanno caratterizato il territorio brontese e quello di Sciarotta in particolare, si contrappone la mano ferace del contadino, che spaccando la brulla sciara lavica ove nulla più può ricrescere per almeno un centennio, ha però permesso che la pianta del pistacchio, le cui radici sono solidissime, allargasse le pietre solidificate e crescesse laddove morte e distruzione coprivano densi campi. Accanto a Sciarotta scorre il fiume Simeto, l'antico Symaethus de' Greci e Romani che giunge oltre Catania; la fòrra che lo scava è parco naturalistico, le sue acque entro le antiche saje, canalette di argilla, alimentavano le terre ed i feudi sciarottàni sino al secolo XIX.   Oggi quartiere popolato nella sua parte nord (tanto che il comune di Bronte, cui si deve dare atto di curare con attenzione e serietà quella contrada nei suoi aspetti, ultima la sistemazione della bevitoja pubblica che biforca la strada zonale) con case popolari costruite nel secondo dopoguerra, nella parte inferiore (detta anche nei toponimi, Giandalamonica o Sciarotta sùttana) è tradizionalmente luogo ove i brontesi agiati hanno seconda casa e sovente vanno a coltivare le loro terre, piccole o grandi che siano. Fino agli anni sessanta, solo la provinciale era asfaltata, le stradine interne tutte sterrate; quasi nessuno aveva muraglie confinarie se non pietre e muriccioli; adesso l'hanno quasi tutti, o tempora o mores.  Ivi, a Sciarotta, nelle terre e nei feudi, impera la coltivazione del pistacchio brontese, importato in Sicilia da' Persiani del Khorassàn -di alta razza- durante il X secolo d.C., ma non solo: vi sono ulivi secolari dall'ottimo frutto oleario, sacri anticamente ad Atena; filari di opunzie altrimenti detti fichi d'India perché gli Spagnoli quivi le importarono dalle Americhe dopo le conquiste di Còrtes e Pizarro: i frutti caldi e giallo-rossi del ficus indica, oltre a rammentare i colori della gloriosa bandiera del Vespro siciliano, sono alimento completo, dolcissimi e in quella zona particolarmente nutrienti perchè densi di zolfo, attinto dalle profondità dell'Averno.

Ma nei feudi sciarottàni, almeno in quelli lasciati in stile XIX secolo, ferve la vite: e non la vite coltivata ma quella spontanea che cresce sui muretti e sotto le pietre, la vite nera da vino. Lo stesso vino, siamo certi, che rese ebbro Bronte e suo cugino Polifemo, poi dannato a soffrire per assenza di Luce.    Ma la Luce le uve di Bronte, la fanno sfavillare a fine agosto e inizi settembre di ogni anno, tempo di vendemmia. Almeno per chi ha codesto culto ed ancora, nella massima umiltà, senza fronzoli, tornando umano, si sbraccia e sin dalle ore antelucane raccoglie con semplice taglio del coltellino, i maturi grappoli che profumano di Eternità, duri e carnosi come le mammelle della Magna Mater, che erano numerose secondo le iconografie. Lì ci si abbevera per un tempo senza tempo. Lì è il silenzio della natura, nei feudi di Sciarotta, solo a volte qualche schioppo dei cacciatori ad inizio stagione, o qualche cane che abbaja al risorto carro di Iperione.    La vendemmia è atto di Amore, verso la Divinità e verso la Natura che senza chiedere nulla in cambio, dona il suo frutto. Come la mamma, che dà senza chiedere. La terra è davvero madre!

A Sciarotta vi sono anche alberi di mandorle, amigdala dolce ed amara per le confetture: residui di tempi in cui la fruttificazione era variegata e ci si teneva ben più di oggi. A volte rispunta il fico, figlio diretto del ficus ruminalis di Roma , ma la Sicilia non fu forse la prima e più densa di méssi, provincia dell'Impero?    Il suolo della sciara ròtta è scosceso, si sale e si scende per fòsse e scale difficili, urge il bastone nodoso del viàtore: ma nessuno cadrà, si può solo godere della Natura trionfante. Si sapeva che il vulcano è uno scrigno, l'Etna màssime: dopo la seconda guerra mondiale quei simpaticoni dei miliardari USA vennero in zona di Sciarotta perché qualcuno aveva suggerito che nel sottosuolo vi fosse il gas naturale, ed era vero: si intrapresero le trivellazioni, magari si pensava ad un nuovo El Dorado. Invece si capì che l'estrazione era costosa a fronte dei ricavi: i ricchi statunitensi sono gente d'affari, lasciarono perdere ed a Bronte rimase il piccolo nazionalismo di averci creduto. Ma il gas naturale sotto vi è davvero, come vi è il petrolio, tutti i tesori del mondo... Jules Verne nel "Viaggio al centro della Terra" non passa forse anche dall'Etna?

"Quid facias laetas segetes, quo sidere terram
vertere, Maecenas, ulmisque adiungere vitis
conveniat   (Georg. I 3)
"cio che rende lieta la campagna, questo o Mecenate canterò, come la terra si dissoda e si legano gli olmi alle viti..." Virgilio eternamente ci suggerisce che il canto della Terra è musica delle sfere, è in certo senso Fede, come è fede -se vogliamo laica- credere nella visione unitaria, monarchica, del mondo. A ciò servirono nell'evo medio, le baronìe, le terre che si legano ad un signore, il quale da esse prende il titolo, riconosciuto e conferito da Principe con fons honorum, come usava ieri, come usa ancor oggi, benché i costumi siano cambiati. Ma in Sicilia, nel Mediterraneo, in Oriente, ciò non tramonta mai, anzi risorge sempre, , come la fenice.    Virgilio e Marco Catone ci hanno insegnato come aiutati dalle stelle e dagli dèi, si debba curare la campagna, così Manilio; la certezza nella missione salvifica della Monarchia tra i popoli, ci da la sicurezza di essere verso il giusto cammino.

"Hic segetes, illic veniunt felicius uvae, \ arborei fetus alibi atque iniussa virescunt \ gramina" (Georg. ib 54-55), qui i cereali, la le felici uve crescono, laggiù i frutti su alberi ed erbe...  Allora il nobile nella sua terra, può dire con Virgilio delle Bucoliche (I, 46-47), nelle parole di Melibeo: "Fortunate senex, ergo tua rura manebunt, \ et tibi magna satis... " e Titiro conclude (83), "et iam summa procul villarum culmina flumant, \ maioresque cadunt altis de montibus umbrae", e mentre fumano i tetti del villaggio, maggiori dagli alti monti scendono le ombre: e fu sera, e fu mattina...

Il feudo di Sciarotta è proprietà della famiglia Prestianni Greco dal XIX secolo, ascendenza materna diretta del Commendatore con placca OEAE e Delegato della Real Casa d'Epiro Francesco Giordano, Barone di Sciarotta, con diritti e privilegi connessi e blasone, nominato per Lettere Patenti da SAR e Ser. Don Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia, Gran Principe d'Epiro, dal 4 giugno 2017.   Questa la blasonatura dello stemma, regolarmente registrato da Stemmario Italiano sin dal 2009: "Sbarrato ondato d'azzurro e d'argento, con il capo d'oro a due croci sovrapposte, la prima decussata greca scorciata patente a punta di lancia, la seconda greca scorciata trilobata, nere, entrambe vuotate in centro di un quadrato"

(FGio)


martedì 5 settembre 2017

Akkuaria Bookstore: Il Regno d'Epiro nell'Europa di ieri e di oggi, in promozione


E' online il nuovo bookstore di Akkuaria edizioni con una promozione speciale per il volume sul Regno d'Epiro, per questo mese

http://www.akkuarialibri.com/product/il-regno-depiro-nelleuropa-di-ieri-e-di-oggi/