martedì 22 ottobre 2013

Tramonto, sonetto di Mario Rapisardi, da "Giustizia"





Tramonto, sonetto di Mario Rapisardi, da "Giustizia"

Abbiamo con Mario Rapisardi una consuetudine di molti lustri: come un Fratello, un amico che quando lo desidera, si fa sentire. Per dirci: ricorda e ricòrdati di me, e scrivi, scrivi! Per cui non ci meravigliò se, nel ritirare quest'estate un volumetto tra i pochissimi mancanti, "Giustizia" in prima edizione, da un librajo di Napoli, aprendolo leggemmo che si stampava a Catania nel gennaio 1883: centotrenta anni fa. Data già nota, ma è la coincidenza che segnala. E nel risvolto di copertina c'è una stella a sei punte, disegnata a matita. Siccome il caso non esiste e vi sono prove ampie, lo sappiamo con la nostra cara amica Rita Carbonaro che religiosamente (termine dolce al Poeta che così noverò una sua raccolta, da noi recentemente rieditata, le "Poesie Religiose") custodisce nell'alveo delle Biblioteche Riunite Civica e Recupero dell'ex monastero benedettino, i cimeli e gli oggetti cari e la biblioteca del Rapisardi, crediamo sia necessario assecondare il Suo volere. Così Mario desidera. E meglio ancora, a pochi giorni dai "morti", in cui lo rivedremo, come sempre, nel piazzale grande del Cimitero catinense.

Non si può onorare al meglio un Poeta che rileggendo una sua poesia. Sommessamente, adatta all'autunno, gustiamo il sonetto "Tramonto", da "Giustizia":

Porporeggian le viti a la campagna

nel bigio autunno in sul mancar del sole.

Il pettirosso invita la compagna

a saltellar su le zappate ajuole;

nel vòto stabbio querula si lagna

la vaccherella a cui tolta è la prole;

per l'erma strada il poverel si duole

col cencioso fanciul che l'accompagna.

L'aure senton di musco e di vinaccia;

e lontan, l'uste de la fiera scòrte,

latran le mute signorili in caccia;

mentre a' figli pensando e a la consorte

il nero carbonajo alza la faccia,

e con bieco pensier fischia a la morte.

Oltre la soavità finissima del cantore che cesella magistralmente una intiera visione del mondo, desideriamo notare il contrasto, finemente leopardiano e tutto ottocentesco, della contemplazione della Natura (con la vaccherella esattamente eguale ai dipinti del Palizzi, amico del Rapisardi e dell'amicissimo suo, Calcidonio Reina) con l'eterna realtà del povero che si trascina nei bisogni, e più la tragedia del miserabile carboniere, che ha negli occhi la morte, perché non può dare il pane ai figlioli: mentre i signori pensano a cacciare in campagna, e oggi a giocare in borsa a spese dei miserrimi. Cosa è mutato da allora? C'è il benessere? Ah, no, la Giustizia come la intese il Rapisardi è ancora assetata di Vero, di Luce, di aequitas. Ed attende il grido immenso della autentica bellezza. Per questo la Sua voce è eterna, intramontabile come i suoi versi.

(F.G.)

 

 

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